
Chi non conosce Marco Montemagno? Se sei su Facebook, quasi certamente fai parte dei milioni di persone che lo seguono sui suoi social.
Ma come ha fatto “Monty” a diventare (nel momento in cui pubblico questo articolo) numero 1 assoluto su Amazon (prima di Harry Potter o Roberto Saviano)?
Lo scopriremo in questa intervista… prima di ascoltarla, però, scarica la mia GUIDA GRATIS per aiutarti a promuovere il tuo libro su Internet.
Che cosa scoprirai in questa intervista di Marco Montemagno?
- Chi è Marco Montemagno?
- Di quali argomenti tratta il suo libro “Codice Montemagno”?
- Perché Monty ha scelto di pubblicarlo con un editore e non in Self-Publishing?
- Perché scrivere e pubblicare un libro è importante per il proprio Personal Branding?
- Quanto sono importanti oggi i video per promuovere te stesso, il tuo libro, i tuo prodotti o i tuoi servizi?
- I 5 consigli per chi vuole realizzare video di successo
- Il Sito Web è ancora la migliore strategia per avere successo su Internet?
La video intervista la trovi qui sotto, basta cliccare il tasto “Play”. Se non hai voglia di vederla e ascoltarla tutta, o hai una connessione troppo lenta, in fondo alla pagina troverai la versione testuale dell’intervista. Buona visione (o buona lettura)!
Come ha fatto Montemagno ad arrivare numero 1 su Amazon prima ancora che il suo libro fosse disponibile?
Chi è Marco Montemagno?
Io faccio l’imprenditore nel mondo digitale da almeno una quindicina di anni, e mi sono sempre occupato di comunicare, di divulgare le opportunità della tecnologia alle persone, alle aziende e alle istituzioni. Ho fatto televisione per 7 anni su Sky Tg 24, e ultimamente ho iniziato a fare video su Facebook che sono andati molto bene (presto supereremo i 300.000 fans sulla mia Pagina Facebook (attualmente, 31 Gennaio 2022, ha superato il milione e duecentomila persone). Questo, insomma, è quello che faccio, mi occupo di digital, in sostanza.
Ti sei dimenticato del ping pong…
Questa in effetti era la cosa più importante, da sbarbato ormai 25 anni fa. Io ho 45 anni ma ho iniziato a 9 anni e di mestiere giocavo a ping pong, quindi fino all’università, questa è sempre stata la mia grande passione.
Da pochi giorni è uscito il tuo libro, si chiama ‘Codice Montemagno’. Ce ne vuoi parlare?
Sì, diciamo che è un nome molto originale. Il libro, in sostanza, è il meglio dei concetti espressi nei miei video nell’ultimo anno e mezzo.
Abbiamo preso i migliori video fatti nell’ultimo anno e mezzo, o almeno quelli che mi sembrava fossero i più interessanti, li abbiamo trascritti, organizzati, puliti, messi in un modo che fossero leggibili, ma soprattutto organizzati, e abbiamo creato questo libro che ha lo scopo di aiutare le persone a diventare imprenditori di sé stessi grazie al digital, che sono i miei temi.
Se da un lato vi sono, infatti, tutta una serie di persone che cercano un posto fisso, che cercano la sicurezza del lavoro dipendente, dall’altro lato i media hanno sempre parlato della possibilità di lanciare una start up, che però spesso è una cosa difficile.
C’è però una via di mezzo che secondo me è questa: la possibilità per tutti di essere più intraprendenti, di avere un piano di backup, magari due lire in più che ti entrano grazie a dei progetti online che puoi realizzare e c’è un mondo di opportunità là fuori. Io, vivendoci in mezzo, lo vedo e ho cercato di trasferire un po’ di esperienza personale e di conoscenze di questo mondo per cercare di essere utile.
È un manualetto step by step, dove se uno vuole può prendere questa strada, anche se fa il dipendente, ma può cercare di costruirsi anche il suo brand e avere una possibilità di monetizzazione e di carriera professionale in più. Può essere una buona soluzione.
Ho visto che tu hai pubblicato il tuo libro con Mondadori. Come mai non hai utilizzato il self publishing? E, più in generale, che cosa ne pensi di questa modalità?
Faccio una premessa importante, secondo me. Io di mestiere sperimento, questo è necessario se tu lavori nel mondo del tech, “it’s always day one” come diceva Jeff Bezos, è sempre il primo giorno, il mondo cambia in continuazione. Mentre stiamo facendo l’intervista, mi riconnetterò fra 20 minuti e magari hanno venduto Twitter o hanno impartito una nuova piattaforma, quindi sei sempre in questo mondo così liquido, vaporeo…
Testare tutto…
Devi testare, sperimentare, vedere, non è un mondo per teorici questo. Fuori è sempre pieno di gente che parla, ma poi non facendolo, non sporcandoti le mani, non hai idea di come funzioni questo mondo, quindi io di mestiere testo e sperimento.
La cosa che mi ha colpito, e qui ti faccio una premessa e poi entriamo nel merito del self publishing che è un grande tema, è questa: Il libro è andato in cima come numero uno, come bestseller su Amazon di tutti i libri italiani (e tu sai quanti libri ci sono, quanto sia complicato), ancor prima di essere disponibile, senza avere un’ immagine di copertina, senza avere una descrizione, senza che io avessi il controllo dell’account, perché l’account è pubblicato dalla Mondadori e quindi io non ho il minimo controllo su quello, e senza avere un’ edizione digitale.
Era quindi nelle peggiori condizioni possibili per andare in cima a una lista, considerando che poi nella lista hai Harry Potter, la dieta della longevità dei puffi e non lo so, c’è di tutto e di più.
C’è Benedetta Parodi…
Esatto. Hai qualunque cosa, come hai gli assistenti giudiziari… tutti quelli che vogliono il posto fisso sono lì a comprarsi sto caspita di libro.
La cosa interessante per me come test è stata: è possibile andare a pubblicare un libro che parla di temi, che non sono temi leggeri, perché il diventare imprenditori di sé stessi, il business, il digitale, non sono temi divertenti, non è come pubblicare un libro che parla delle farfalline di Belen o della cucina. Ma è possibile fare un testo del genere che raggiunge un grande pubblico, non solo online ma anche offline, in Italia.
Questa era la sfida di sperimentazione. Per farlo, da un lato, ho un asset mio, che è la mia community, che è la mia visibilità online. Io ho una reach, una visibilità su Facebook, che oggi più o meno è di 20 milioni al mese, che raggiungo già di mio.
Però offline mi manca un tassello, poi vivo in Inghilterra e quindi in Italia non sapevo come arrivare. Per cui, il mix con un editore mi sembrava una bella formula. Anche perché il mio obiettivo non è quello di monetizzare con questo libro, anche perché altrimenti non fai un accordo con un editore perché sappiamo benissimo che le royaltyes sono bassissime.
Il tema è: unire le forze con qualcuno che ha la possibilità di portare questo oggetto fisicamente in migliaia di librerie e raggiungere un tipo di pubblico che io, a oggi, non contatto. Quindi questo è il motivo della mia scelta.
Invece il self-publishing trovo che sia un’idea straordinaria che ha aperto un mondo infinito e ancora una volta Amazon ha giocato un ruolo da pioniere ed è un’opportunità che prima non c’era.
Un po’ come, ai tempi, quando partirono i blog, quando la gente era abituata che per poter scrivere a un giornale, scrivevi la lettera al direttore e ci doveva essere qualcuno che doveva approvarla. Era follia pura. Però era così, ai tempi, non tanto tempo fa se ci pensi, mentre oggi è cambiato tutto.
Sui libri la stessa cosa, io mi ricordo di Lulu… e all’inizio sembrava una cosa impossibile, poi sempre di più le barriere d’ingresso si sono risolte.
Mi sembra, quindi, una soluzione ottima e che andrò a sperimentare senz’altro in futuro. Mi sembra una soluzione ottima per monetizzare, perché le royaltyes sono diverse, il rapporto è invertito rispetto a quello che hai con un editore, ma hai il grande problema della promozione.
Problema che nel mio caso magari non c’era, perché fino a oggi non c’è stata nessuna promozione da parte dell’editore, il libro non è neanche arrivato in libreria, ma la promozione è esclusivamente della mia community.
Però, per una persona che magari non ha un pubblico ampio o non è un addetto ai lavori e non sa bene come comunicare online, chiaramente ha il problema che fa questo testo e poi dice ‘ne vendo tre copie’. Entra, quindi, tutto il problema della comunicazione che devi saper gestire.
Io dico sempre a chi mi legge e a chi mi ascolta che scrivere e pubblicare un libro non deve essere riservato solo agli scrittori, ma può essere anche un mezzo per gli imprenditori, sia online che offline, per promuovere la propria attività e il Personal Branding. Tu sei d’accordo o pensi invece che sia una cosa superata?
Una premessa: io sono un amante dei libri come te, e quindi penso sia una modalità importante.
Charlie Munger, il famoso socio di Warren Buffett, ogni volta ha queste frasi meravigliose e una delle sue frasi classiche è ‘Non ho mai visto una persona di successo che non fosse un lettore avido’, uno che ogni volta legge e si documenta. Ed è così se tu vedi, quando si dice: i poveri hanno grandi televisioni, ma i ricchi hanno grandi librerie.
È così, poi può essere il libro, può essere il video, può essere una modalità diversa, però il libro lo trovo fondamentale come strumento di comunicazione e di posizionamento.
Io non sono uno scrittore, ho mio figlio Yari di 16 anni, che è il mio autore occulto della mia pagina facebook, che mi dà sempre molti consigli, e ogni volta mi prende in giro dicendo che non so neanche scrivere. Ed è vero. Io non sono assolutamente uno scrittore: Umberto Eco, pace all’anima sua, e Montemagno sono proprio due mondi totalmente diversi.
Però ti faccio un esempio, ora sto leggendo questo libro molto carino che ti segnalo ‘Never split the difference’. L’autore è un negoziatore dell’FBI che ha scritto un testo su come si negozia in base alla sua esperienza. Questo non è uno scrittore, ma è un professionista che scrive un testo per posizionarsi come esperto di negoziazione e poi monetizzare quel tipo di visibilità con mille cose: gli speech, i corsi, l’accademy…
Quindi è uno strumento che trovo meraviglioso e poi, sai, un libro è un’identità per me. Io ho dei libri che mi rappresentano, li compro perché per me avere quell’oggetto è una parte di me, è una mia proiezione, per cui non è solamente il contenuto, è proprio l’insieme del valore, l’insieme valoriale di quell’oggetto è importante.
Parliamo dei video su Facebook: tu sei stato uno dei primi ad aver promosso la strategia di un video al giorno. Come mai ti è venuta in mente questa idea, quali vantaggi ti ha portato e secondo te è una strategia sempre valida? Secondo te Facebook è sempre il social su cui bisogna sempre puntare per ogni settore, nicchia, mercato?
Non c’è una risposta uguale per tutti, ovviamente. In questo momento, 2017, gennaio, Facebook è dominante, tra magari tra dieci minuti, o dieci anni, non lo sarà più e ci saranno mille altre piattaforme.
Quindi il primo consiglio è: dare sempre un’occhiata a come si sta muovendo il mercato, perché le piattaforme cambiano in continuazione. Questo è il primo aspetto. A oggi, Facebook è il posto dove stare, Facebook video è il formato da utilizzare e Facebook advertising è lo strumento promozionale per spingere i tuoi video sul pubblico che ti interessa. Per cui, questo mi sembra il tema importante.
Sul discorso dei video al giorno, quando ho iniziato io, in Italia, nel mondo del business o nessuno faceva video o, se li faceva, era una cosa molto saltuaria…
Magari per promuovere un prodotto…
Per promuovere un prodotto, per cui facevi il tuo classico video ‘Hey, sono Giorgio Franchetti, autore best seller di… e oggi vi presento i miei tre video di valore.’Queste solite robe quà. Prese dal modello americano, copiate pari pari e riprodotte per l’Italia.
Oppure, i video corporate dove l’azienda dice ‘Compra la nostra penna che produciamo’, siamo i più belli e i più bravi. Oppure video fatti bene o i video virali. In quel momento, però, c’erano tutti gli youtuber sbarbati che parlavano tipicamente di videogame, il Favij di turno in Italia…
O Yotobi…
Yotobi sì, che invece producono e producevano in maniera normale, naturale, un video al giorno perché quella è la dimensione di quantità e di conversazione che hanno con i propri lettori.
Quando sono partito quindi ho fatto un po’ di valutazioni e ho pensato, mettendo insieme i dati che avevo a disposizione, che era evidente come la quantità di contenuti prodotti fosse ormai sempre più alta e se tu non produci, oltre a una qualità ma anche una quantità importante, è difficile stare di fronte ai tuoi potenziali utenti, perché l’attenzione è veramente sparpagliata.
Se tu consideri che un utente normale su Facebook ha nel feed una scelta più o meno di 2000 contenuti al giorno e ne sceglie 100, 200, e tra questi contenuti tu competi con Netflix, il trailer di CocaCola, Redbull…
I video della Gazzetta dello sport…
Tu non competi solo con i tuoi competitors, tu competi per il mercato dell’attenzione e dell’intenzione degli utenti che è molto frammentata e tutti cercano di prenderla, per cui hai bisogno di quantità…
Dopo che sono partito, poi, ho avuto molti “clonatori” che hanno incominciato a fare la stessa cosa e alcuni, devo dire, con successo, anche in settori diversi, sono partiti e il fatto di avere questo sistema li ha aiutati…
Ultimamente ho visto che anche Robin Good fa una cosa del genere…
Guarda, Robin onestamente non lo seguo da un po’, anche se ci conosciamo da tanto. Non lo seguo da un po’ Robin, ma senz’altro lui è sempre stato un precursore, quindi sono felice se ha iniziato ad abbracciare il tema dei video. Anche perché lui ai tempi faceva video, faceva interviste, faceva collegamenti. Probabilmente poi si è distratto su altre cose…
Penso anche che sia bello se ci sono persone competenti come Robin che hanno la possibilità di condividere le proprie opinioni, competenze, poi puoi essere d’ accordo o meno, però diventa molto interessante.
Qual è il fatto? È che a oggi manca questa fascia d’età di gente che non è sbarbata per produrre video e che magari ha 40, 50 anni. Siccome il video è faticoso da produrre, ancora non sono entrati nella mentalità di produrre continuativamente.
La mia previsione è che, però, ci sarà sempre più gente anche in Italia, e io personalmente lo spero, perché è troppo più facile promuovere qualche cosa che fai se hai anche dei potenziali partner. Io a oggi ho il problema che non ho qualcuno che ha almeno 200.000 fan’s su Facebook, che parla a un pubblico business, e che non fa soltanto scherzi telefonici, con il quale fare delle collaborazioni, delle iniziative insieme.
E quindi per me questo è un tema molto importante e lo sarà sempre di più in futuro. Ecco la mia previsione è che la quantità dei video aumenterà ancora, perché c’è troppa competizione. Chiaramente, poi, a parità di quantità, entra il discorso qualitativo, dove dici questo è più bravo, questo è meno bravo.
Per fortuna direi…
Per fortuna deve essere così perché poi, alla fine dei conti, tanta gente fa un video al giorno, ma sono pochissimi quelli che riescono a staccarsi, è un lavoro duro…
Perché poi fare un video al giorno è complicato… non dire banalità, o ripetersi…
Assolutamente, infatti devi farlo su qualcosa su cui sei competente. Se io dovessi parlare di cucina ogni giorno e non ne so niente, dovrei studiarmi ogni giorno un libro, la ricetta, e poi quando comunichi ogni giorno, vieni “sgamato” subito se tu non sei pratico.
Poi quando fai tante dirette, quando hai tanta gente che commenta, eventi fisici, diventa impossibile scappare. La gente ti mette alle strette, chiede, domanda e per cui se sei poco preparato non vai lontano.
Sempre sui video, qualche tempo fa è uscita una piccola polemica sul web a proposito della tua critica sulla seire dei tre video un po’ alla Jeff Walker. Vorrei che chiarissi la tua posizione su questo aspetto e chiederti se questa tua critica vale sempre per ogni mercato? E qual è, secondo te, il trend del futuro per acquisire nuovi lead, per incrementare le vendite del tuo prodotto, servizio, o libro in questo caso…
Quando la gente non sapeva neanche chi cazzo fosse Jeff Walker, o Frank Kern, cioè i vecchi Internet marketer, che hanno fatto milioni di fatturato, ma hanno perso anche un sacco di soldi… è un mondo che va sempre visto con del sano buon senso. Però, quando la gente non sapeva neanche chi fossero questi signori, io me li studiavo. Product Launch Formula penso di averlo comprato non so quanti anni fa… quando uscì, proprio agli inizi.
Diciamo che la cosa secondo me importante è questa: è ovvio che ci sono tutta una serie di concetti che sono importanti e che funzionano. Per chi non fosse pratico il concetto è che se io ti voglio vendere questo cucchiaio, al posto di dire “guarda compra questo cucchiaio qua, faccio un video martellandoti su quanto è bello questo cucchiaio”, io faccio prima una serie di contenuti, tipicamente sono tre contenuti di valore, dicendoti ‘Caspita, ma hai pensato che per mangiare il Muesli forse al posto della forchetta ti serve il cucchiaio? Fantastico‘… e poi il secondo è ‘Qual è il modo migliore, il più veloce, per risparmiare il tuo tempo? Caspita, con un cucchiaio fatto in un certo modo forse risparmio un po’ di tempo‘, e via dicendo…
E, alla fine, nel momento in cui sono andato incontro alla tua esigenza, vado a fare un video di vendita dove dico ‘Bene, eccolo qua il cucchiaio se lo vuoi. Solo per i prossimi 33 secondi e solo per le prossime 43 persone’.
Quindi sono concetti standard che ci sono da anni, che sono stati abusati. Questo è il grande problema, quindi chi li riproduce oggi va a fare qualche cosa che un utente che vive nel mondo tech ha visto 163 miliardi di volte e quindi non c’è più nessun valore. A quel punto, nel momento in cui vuoi affascinare o interessare un potenziale cliente, il valore di questa tecnica è molto sceso.
È come dire: se Redbull ogni mese lanciasse giù un tizio dallo spazio, come Felix Banderwolfer o come cavolo si chiamava, è ovvio che l’interesse per quella cosa lì scende sempre di più… Se invece lo fa una volta e basta, c’è la massima attenzione.
Quindi questo tipo di tecnica dei tre video valore o similari, ormai ha perso gran parte del suo interesse. Chiaramente la puoi ancora usare in nicchie che non sono abituate a questo tipo di tecnica, e per cui dicono ‘WOW… Non ho mai visto per i parrucchieri una cosa del genere, fantastico!’
O anche per un libro per cui si usa raramente…magari un romanzo…
Certo, anche se dipende sempre dai settori e dai paesi, perché per esempio Brendon Burchard ha massacrato la mamma di Evaristo Silvestro con ‘sti video di valore per vendere i suoi libri. Tutti gli americani lo fanno da anni.
Questo secondo me è il problema di base. Qual è la soluzione? Per me la soluzione è, anche se non è un’opinione, è un fatto (a me non piace parlare di teoria, non sono esperto di niente): io ho scritto un libro e ancora prima di andare in libreria, questo libro è al numero 1 di Amazon, nella classifica di Amazon, che è una classifica rilevante.
Come ottieni questo risultato? Non facendo trucchi, trucchetti, tecniche, ottimizzazioni, che se mai vengono dopo per ottimizzare, come la Seo: tu fai un ottimo sito e poi lo ottimizzi, ma non parti dal trucco, dalla scorciatoia. Parti dal brand. Numero uno: costruisci la tua Community, e per costruire una community serve tempo, e non devi fare tre video di valore, devi fare 3.000 di video di valore!
Nel tempo, upfront, prima ancora di cominciare a parlare di cosa vuoi vendere o del libro che farai, o di quello che andrai a proporre, tu devi essere utile a un pubblico che abbia degli interessi simili ai tuoi. Più sei utile, più li intrattieni, più li diverti, più li educhi, più veramente li aiuti, e più si crea un rapporto di fiducia. Quando hai questo rapporto di fiducia, a quel punto puoi vendere cioccolatini tibetani, puoi vendere le scatolette di tonno con la tua immagine, puoi vendere un libro, puoi vendere quello che ti pare. Ma costruire un brand è una visione di lungo periodo che in pochi hanno purtroppo.
Quali sono i cinque consigli che tu puoi dare per realizzare video che convertono?
Mi sento interrogato come all’università… non so se sono preparato Prof… però allora…
Senz’altro il primo tema è che non fai mai un video per vendere, quindi non fai mai un video per convertire. Che suona un po’ contraddittorio e paradossale rispetto a quella che è l’esigenza di chi fa business.
Io faccio l’imprenditore, non è che faccio la charity o il mecenate, quindi alla fine dei conti ho un business che porto avanti, ho più business che porto avanti.
Quindi il tema secondo me è, l’errore numero 1 perché, sempre pensando a Charlie Munger, non è che devi pensare sempre a quello che devi fare, ma a quello che non devi fare… per me una cosa che non devi fare, seguendo la regola dell’inversione è: non puoi pensare di mettere fuori dei video, nel 2017, cercando di vendere nel video. Il video ha un obiettivo diverso, il video che tu fai è un video che deve essere visto da qualcuno e appena ha finito di vederlo deve dire ‘Cavolo, questo video devo condividerlo con qualcuno, perché è una figata pazzesca’…
Ho mandato prima un video sul riconoscimento vocale, perché oggi ho fatto un video sul tema della voce. La cosa incredibile è che è un video talmente divertente, un riconoscimento vocale in ascensore per della gente che parla con l’accento scozzese e quindi uno humour molto divertente qua in Inghilterra, quel video io lo condividerò, a prescindere. La stessa sensazione la devi avere quando guardi il video di un’azienda. Pensa agli spot Nike, quando vedi quegli spot dici “Caspita, questa roba è pazzesca!”
Quindi il primo tema è: il tuo obiettivo non è vendere, o convertire, o generare lead, o aggiungimi, o metti il like alla mia pagina e queste puttanate qua… Il tuo obiettivo è fare qualcosa per la persona che ti sta davanti. Ti dedica 30 secondi, un minuto? Fai il tuo massimo per fare qualche cosa che sia utile per questa persona qui. Numero uno.
Numero due, secondo me spesso le aziende e i professionisti non hanno il senso del ritmo. Quando fai un video, il ritmo fa la differenza.
Il terzo tema, secondo me, è che la maggior parte dei video che vedo, che non funzionano, sono video totalmente teorici, sono video che non hanno nulla di pratico. È un tizio che si mette davanti a una camera e dice ‘Ecco, nella vita di coppia bisognerebbe amarsi di più’. Okay, ma cazzo tu sei mai stato sposato? Hai mai divorziato? Hai mai avuto dei figli? La sai come funziona sta roba, sì o no?
E quindi c’è una quantità di teoria e di fuffa enorme e manca la sostanza, il contenuto, la profondità, la preparazione. Per cui prima di metterti in video devi essere molto preparato.
Io ti faccio un esempio, è vero che faccio un video al giorno, però assimilo una quantità tale di materiale da così tanti anni che ne ho da fare dieci di video al giorno. Ma prima di caricare ogni video, se cito una frase di uno o un dato di Garner, io devo essere sicuro che la fonte sia giusta perché, altrimenti, immediatamente c’è qualcuno delle mie 300.000 persone che mi seguono che alza la mano e mi dice ‘ Ah Monty, hai detto una cazzata, correggi, guarda, controlla’. Per cui il livello di preparazione dev’essere molto alto.
Numero 4, è che non devi essere necessariamente serio per essere professionale. Molti pensano che la professionalità nasca dalla serietà. Io, lo sai, spesso dico delle cazzate, ci rido sopra, ma perché lo so di cosa sto parlando, non ho bisogno di essere “serio”.
Professorale…
Professoriale. Non ho bisogno di fare la lezione. Io conosco la materia per quelle che sono le mie competenze. Poi se parli con Zuckerberg ne sa molte più di me, Elon Musk ne sa miliardi di volte più di me, però per la mia competenza io i compiti a casa li faccio, lo vivo, lo sperimento, lo provo, ho le cicatrici di quello che ha funzionato, di quello che non ha funzionato.
Se dico qualcosa sul mio tema, mi preparo bene e non devo necessariamente essere serio anzi, è come Petit, un clown dev’essere così bravo da poter farti ridere mentre fa tutti gli equilibrismi sulla fune. Questa è la difficoltà.
L’ultimo aspetto, secondo me, è che c’è un’enorme differenza tra informare e comunicare. Sono due mestieri totalmente diversi. I giornalisti, o i professionisti, i manager, i CEO, gli autori di libri, sono molto bravi e competenti a informare, però sono pessimi a comunicare. Sono due mestieri totalmente diversi. L’informazione è: “Guarda, questo libro è arancione, c’è una scritta qua di lato e ha 377 pagine”, questo è informare. Comunicare è: “WOW! I tre modi per negoziare come un fenomeno…”
E creare anche emozione…
È questa connessione empatica che fa la differenza, che viene molto sottovalutata, e i risultati li vedi…
In questa intervista, penso non a caso, abbiamo parlato molto di video e poco di sito web… Per te il sito web è ancora utile per creare una community, per promuovere sé stessi, il proprio personal branding, oppure sta scendendo di importanza?
È un tema infinito su cui ci sono mille interpretazioni e mille scenari possibili. Io giudico, però, in base ai fatti, come sempre, e i fatti sono che la spinta dei principali player tecnologici è quella di togliere importanza al sito web. Perché? Perché l’interesse di Facebook non è farti andare sul sito di qualcuno, ma farti restare da loro. L’interesse di Amazon è quello di farti dialogare con la torretta Ico tramite Alexa che ha il riconoscitore vocale.
Quindi hai una spinta economica forte che porta a far sì che gli utenti si abituino a non andare sul sito internet. E quell’informazione ce l’ho dentro il mio cellulare e se parlo con Siri, è lui che è il mio maggiordomo, ed è lui che va a girare i siti internet, ed è lui che mi porta l’informazione.
Quindi, questo è un trend che io vedo chiarissimo. Dall’altro lato c’è quello che io ho sempre insegnato, formalmente e informalmente, è sempre stato: costruisci il tuo quartier generale…
Il sito è di tua proprietà e non sei in affitto ad altri…
È tuo, poi hai le mail, riportali lì, raccogli le mail e bla bla bla…
Il problema è che le persone non vanno facilmente da un posto all’ altro, se sono su Youtube resto su Youtube, perché devo venire su un sito? Quindi questo è il macro scenario.
Per quello che mi riguarda, quello che farò io (è chiaro di Yux, che è un’ azienda di e-Commerce, è fondamentale che abbiano un sito, un sito mobile), io penso che oggi come oggi tu debba riuscire a costruire una presenza in più posti. Possibilmente essendo il numero uno in un posto e poi avendo un piede in più piattaforme.
Come hai detto tu però in un tuo precedente video, “meglio essere Batman in un posto che Capitan Mutanda in 150“…
Possibilmente devi essere Batman in un posto, però devi tenere un piedino e testare varie piattaforme per capire quale prenderà piede.
Dall’altro lato, sì, è giusto raccogliere le mail, anche io raccolgo le mie mail. Io non ho più un sito, dopo anni l’ho tolto e ormai c’è solo una home, una biografia e una landing con cui ti registri alla mia newsletter. Non è che non credo alle mail, ma guardo i fatti: i tassi di apertura rispetto dieci anni fa sono andati giù clamorosamente.
È inutile che tu abbia più di un milione di iscritti nella tua newsletter se poi il tasso di apertura è il 4% e il click to rate è l’1%. Quindi dipende sempre da quanta gente realisticamente tu riesci a raggiungere. È un problema non risolto e su cui tutti si interrogano.
La mia personalissima soluzione è Batman su un Social Network, dove devi essere veramente forte, nel mio caso è Facebook, ma sempre antenne puntate per vedere che cosa sta uscendo. Raccogliere mail sì, perché comunque male non fa, ma senza aspettarti che quella sia la soluzione di tutti i problemi, e poi vedere come si evolve questo mondo.
Mi sembra che da qui a cinque anni la voce sarà sempre più importante, e tutto questo mondo di indicizzazione su Google verrà saltato dalla voce e ci troveremo in un altro scenario su cui, a oggi, nessuno sa bene quale sarà la risposta, ma se siamo pronti questa sarà la nostra modalità offensiva per essere pronti a gestirla.
L’ultima domanda: hai dei progetti a parte il libro?
Ho sempre mille progetti. In questo momento sono concentrato sul mestiere di dire no. Sai che Steve Jobs diceva sempre che il focus, la concentrazione, non è il mestiere di dire sì ma il mestiere di dire no. Ed è importante restare concentrati su poche cose, sui tuoi punti di forza, perché è facile farsi prendere da mille diverse opportunità…
Perdere il focus…
Per i prossimi tre anni quindi io sono concentrato nel costruire il mio brand personale, visto che è nato per hobby, ma è qualche cosa che adesso sta crescendo e che mi sembra importante.
Senz’altro lancerò una start up nuova legata al mondo dei video, mi sembra la cosa più carina che ho in testa e ho varie richieste per tornare in tv, per fare varie cose… Ho un progetto con un editore molto grosso in Italia per fare una serie dedicata al mondo del tech. Sono concentrato su questo.
Start-up e divulgazione, che è un po’ quello che faccio da 15/18 anni, insomma.
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Complimenti Rodolfo per questa ottima intervista!
Montemagno è un riferimento vero e proprio per tutti noi che “comunichiamo” online e una continua fonte di costruttiva ispirazione.
Seppur ha pubblicato con Mondadori, è molto interessante il sostegno palese che comunque dà al self publishing, a riprova di quanto questo fenomeno editoriale sia in continua e inarrestabile crescita.
In ogni caso il segreto del successo nella vendita di un libro è nella creazione anticipata della propria community, prima di vendere ogni cosa.
Una volta creata, con un lavoro molto duro (altro che “4 ore alla settimana”!), a quel punto diventa un piacevole esercizio scegliere le migliori strategie di vendita e pubblicazione, tanto i risultati arriveranno di certo!
Ciao Emanuele,
e grazie per il tuo commento.
Sono d’accordo anche io con Montemagno, la creazione di una Community è essenziale per vendere ogni cosa (e nel nostro caso di un libro) perché il tuo pubblico ha fiducia in te, in quello che gli proponi, negli argomenti che gli risolve un problema specifico (o, nel caso di un romanzo, crea un desiderio). Il fatto che anche un autore che riesce a farsi pubblicare da Mondadori, apprezzi positivamente il Self Publishing è poi un bel segnale.